Colf e badanti, grave buco di tutela nella Naspi
21/11/2024
Dopo il caso dei lavoratori agricoli, si profila un "secondo buco" fra le tutele offerte dal Jobs Act.
Secondo gli attuali parametri, per i lavoratori e lavoratrici domestiche impiegate a massimo 23 ore settimanali non spetterà alcun sussidio di disoccupazione, previsto per le persone impiegate ad almeno 24 ore settimanali per 5 settimane.
A lanciare l'allarme è la Uil Servizio Politiche Territoriali, impiegato nell'analisi del nuovo modello normativo sul lavoro, ormai definitivamente emanato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale degli ultimi Decreti Legislativi.
Secondo Guglielmo Loy (Uil), laddove la vecchia Aspi garantiva una tutela economica alle persone impiegate in non più di 24 ore settimanali, la nuova Naspi non arriverà, lasciando prive di qualsiasi sostegno economico ben 300000 persone, 1/3 del totale dei lavoratori e lavoratrici domestiche presenti in Italia (898000 persone in totale).
"La Circolare INPS n.142 del luglio 2015 è", afferma Loy, "chiara sul punto; l’ulteriore requisito, per le persone addette al lavoro domestico, per aver diritto alla NASPI (30 giornate lavorate nell’ultimo anno), viene interpretato con una attività lavorativa di 5 settimane di almeno 24 ore lavorative. Ergo se l'orario di lavoro è di 24 ore o di più a settimana hai diritto alla Naspi, altrimenti con una attività fino a 23 ore a prescindere dall’anzianità contributiva non hai diritto alla Naspi".
I risultati, secondo Loy, sono paradossali.
Se infatti una lavoratrice o lavoratore domestico ha lavorato sempre a 20 ore settimanali e perde il posto di lavoro non ha diritto a nulla; una persona con 33 anni di età con un lavoro di 20 ore settimanali negli ultimi 3 anni e con uno stipendio di 680 euro al mese, con la “vecchia ASPI” avrebbe preso 483 euro mensili per 10 mesi (4.830 euro), più la copertura previdenziale per aver diritto alla pensione, più eventuali assegni al nucleo familiare.
Ora invece con la NASPI non ha diritto a nulla.
Una domestica con 55 anni di età che ha lavorato fino al 2013 per 28 ore settimanali e poi nel 2014 e 2015 ha ridotto il proprio orario a 20 ore con l’ASPI avrebbe percepito 457 euro mensili per 12 mesi (5.490 euro), più contribuzione previdenziale e assegni familiari, mentre con la nuova NASPI non percepisce nulla di tutto ciò.
Ma ancora più paradossale: prendendo 2 lavoratrici a 20 ore settimanali, la prima nel commercio, la seconda nel lavoro domestico, risulta che la prima, in caso di perdita di posto di lavoro dopo 2 anni, percepirebbe 400 euro al mese per 12 mesi (4.800 euro), mentre l’altra che lavora a domicilio non percepirà nulla.
"A questo punto è inevitabile chiedersi se siamo davanti a un errore o a una inutile cattiveria", conclude domandandosi Guglielmo Loy.
"L'interpretazione che fa l’INPS (immaginiamo con l’ok del Governo) colpisce un diritto di cui sono titolari 300.000 lavoratrici (e lavoratori) impegnate nel secondo pilastro del Welfare Italiano".
Perché negare a chi lavora a part time (come altri 3.2 milioni colleghi di altri settori) una prestazione cosi vitale come l’indennità di disoccupazione?
Una cosa è certa; il Governo, che ha sempre enfatizzato l’allargamento a tutti i lavoratori degli ammortizzatori sociali, è palesemente contraddetto dal suo stesso operato.
"Con questo" chiude Loy "siamo al secondo buco del Jobs Act: al primo è stata messa un toppetta, e a questo che si farà?
Speriamo in urgente “ravvedimento operoso”.